Dopo una pantagruelica cena, condita
da qualche vizio di troppo, la colazione è comunque discretamente sostanziosa;
le fatiche che immaginiamo dovremo affrontare, ci spingono ad ingurgitare il
solito mix di carboidrati e proteine, scegliendo tra l’ampia proposta.
Dopo un sentito ringraziamento a
Paola di Borgo Gerbina ed un abbraccio pensato
per il trattamento ricevuto, è davvero ora di partire: il sole è alto sulle
nostre teste, ma la scena principale quest’oggi è tutta di un mare di nubi e
nebbia, qualche centinaio di metri più in basso; proprio dove siamo diretti.
La picchiata di una decina di
chilometri è una doccia gelida che ci risveglia tutti i sensi in un colpo solo
e ringraziamo che la traccia sul telefono ci porti su un apparentemente innocua
lingua di asfalto ciclabile che si inerpica lungo i fianchi dell’Appennino. Possiamo
scaldarci. Nel giro di qualche minuto, tuttavia, capiamo che la faccenda si fa
molto seria e la statua di una piccola Madonna sembra messa lì di proposito,
poiché ciò che ci aspetta sono 7 o 8 chilometri di crudelissima salita dove i
picchi al 16, 18, 19% sono numerosi e neanche corti; la fatica però ci fa
riemergere sopra le umide nuvole e ci regala uno spettacolo di colori autunnali
ed un profondo e benefico orgoglio nei confronti delle nostre pur semplici
gesta.
Dopo una spianata ed una fresca discesa,
Berceto è conquistata. Thè caldo e caffè ci rinfrancano.
Il vero GPM di giornata ci sta
ancora aspettando: è il momento di ripartire ed inforcare le bici verso il
Passo della Cisa, una costante e gradevole salita, dove ci si può anche
permettere di spingere un po’ di più, distratti da un panorama oltremodo
piacevole che contrasta – purtroppo – con l’abbandono di strutture recettive
sbarrate e lasciate in balia dello scorrere dei giorni e del deterioramento.
Forse sono i segni del trauma
post Covid, oppure cicatrici di lunga data, segni di un progressivo
allontanamento di turismo ed indotto verso altri lidi; i pellegrini e gli
amanti di questo genere di avventure sono probabilmente una nicchia, non più in
grado di sostenere ostelli e rifugi. È un peccato.
La nostra mattina si conferma
oltremodo divertente, nel corso di una lunga e per niente battuta discesa in
cui – estremamente divertiti – disegniamo le traiettorie che riteniamo migliori
per superarci l’un l’altro, in una sfida con
l’esclusione di colpi, indirizzata a Pontremoli e ad un piatto caldo che ci
rimpolpi di energie per giungere al mare!
Ma ahimè, sono di corvée, al mare
ci arriverò guidando il nostro furgone-ammiraglia, dopo aver gironzolato per i
graziosissimi viottoli di Sarzana; il tempo di un caffè e di una amabile
chiacchierata con la farmacista parmense emigrata in terra toscana.
Poi, è un attimo, tempo di fare ricognizione sul giorno 5.
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