Quando corro o vado in bici, i momenti in cui la sofferenza mi indurrebbe a mollare, a rallentare, a mettere giù il piede ci sono sempre ed allora io più è ruvida la fatica e più mi metto a cantare; in cuor mio il più delle volte o bisbigliando altre. Mi serve a distrarre le gambe da quel dolore e ad esortare la mente: “lo vedi che c’è ancora fiato!”.
Oggi in testa ha fatto capolino “La
mia casa” di Daniele Silvestri e mi ha accompagnato in più occasioni: sia
quando il treno della Heroebike lottava
contro il tempo e tritava chilometri in una crono verso l’Appennino, sia quando
la strada ha iniziato a salire davvero. Prima scaldandoci le gambe, poi frustandole
con un ultimo chilometro dalle pendenze aspre: mostro finale per raggiungere un
incantevole borgo ristrutturato, in questa località chiamata Valmozzola, che
sembra aver rallentato l’incedere del tempo ed essersi sospeso a quando le cose
scorrevano più lentamente. Più genuinamente forse.
Ho trovato i testi di questa
canzone (che lascio qui in fondo al post, per i viandanti che passeranno) quanto mai adatti a questo nostro pellegrinaggio
lungo la Via Francigena, dove – nonostante tutto – incrociamo sguardi e
sentiamo voci che cambiano l’accento, come cambia l’orizzonte che puntiamo ed a
mio modo mi riempio i polmoni di aria fresca e nuova perché il viaggiare ti
apre la mente e ti obbliga a spingerti fuori dai tuoi schemi e se sei fortunato
ti accorgi che tutta questa diversità di cui si colora il mondo è un arricchimento
infinito e gratuito. Ed allora davvero la tua casa può essere qualunque posto
in cui ti potrai sedere a prendere fiato.
Il resto parla di piattume alle
spalle, di cambi in avanti e di “rallenta!” dietro. Parla con una musicale
cadenza emiliana e offre gnocco fritto e torta di mandorle. Parla di maldestri
tentativi di indirizzare il nostro incedere, di litri di coca-cola (ancora) e
di tagliatelle fatte in casa. Cacciatori e cinghiali, il racket delle
lavanderie a gettoni e del più classico dei “lì dietro siamo arrivati”.
Parla di Borgo Gerbina e di un’accoglienza
calda e premurosa.
E soprattutto di una bottiglia di
vino rosso che ci attende.
Perché ho amato mille volte
E mille volte ho cominciato
E ho lasciato mille pezzi del mio cuore
Sul sagrato delle chiese
Nel cortile abbandonato
Di un compound sud-sudanese
Sul tettuoso muro a secco gallurese
Su di un ponte chilometrico di Istanbul magnifica e geniale
Che riesce a trasformare il mare in fiume e viceversa
Il fiume in mare.
Ah, la canzone termina le sue
note tra le vie di Roma…
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