Il mio 25 aprile.


Io ho una coppia di zii, anzi di prozii. Non ho zii di primo grado, quindi ho sempre considerato tali, quelli dei miei genitori. Ho una coppia di zii, dicevo, di ottantasei anni; all'anagrafe, li separano una manciata di mesi. Lei, la Zia, ha l'Alzheimer e un po' di demenza senile. Nella sua famiglia erano quattro fratelli, tra cui la mia nonna, che ora non c'è più. Tra l'altro, la Nonna e la Zia - vista la data in cui scrivo - fuggirono a pochi minuti dalla partenza di un treno fascista che le avrebbe portate Dio solo sa dove. La storia - di freddi pomeriggi in famiglia, a giocare a carte accanto al fuoco caldo della stufa -  narra di un soldato che si era preso una cotta per la Nonna o per la Zia, ora non ricordo più; così, permise loro di scappare. E di salvarsi la vita, immagino.
Lo Zio ha un corpo esile, eroso da anni di lavoro: per guadagnarsi da vivere prima, perché questo gli ha insegnato la vita dopo. Orto, frutteto, vigna, vendemmia, grappa e lavori di ogni genere in casa o in cantina. Ha un corpo stanco ed una mente lucidissima. Acuta, pungente e spiritosa, come quando nei pomeriggi di Natale di un millennio oramai passato, mi aiutava a costruire decine di Lego o di Playmobil che Babbo Natale mi aveva portato nella notte.
Nella famiglia di Zio erano otto fratelli. Tre sono mancati. Oggi ho visto tutti gli altri.
Il 25 aprile di sessant'anni fa, la Zia e lo Zio si sposavano.
Lui lo ricorda perfettamente; Lei - come dicevo - non ricorda quasi neanche più il suo nome e ogni giorno insulta suo marito perché crede che le stia fregando i soldi, che l'abbia rapita e portata via dai suoi genitori, che non le permetta di vedere i suoi fratelli. La Zia, peraltro, ha sempre avuto un carattere piuttosto tosto; quei famosi pomeriggi a giocare a pinnacola, a pochi passi da una stufa accogliente, li ricordo per la meravigliosa favola di salvezza da una morte certa per mano di infami, è vero, ma li ricordo anche per gli insulti che volavano, seguiti dalle carte! 
Ed io giù a ridere in un angolo.
Dicevo, lo Zio, una decina di giorni fa, ha chiesto a mia madre di prenotare un ristorante. Non uno qualunque, ma uno in cui la numerosa famiglia di mia madre ha vissuto tanti momenti della propria storia; uno di quei ristoranti di una volta, dove il tempo pare aver rallentato. Dove quando entro, mi aspetto di vedere mio nonno, con il suo simil Borsalino in testa, leggermente piegato all'insù, ed un bicchiere di vino rosso in mano.
Mi sono lasciato prendere.
Lo Zio ha organizzato questo pranzo, per festeggiare i suoi sessant'anni di matrimonio con la Zia; poi, ha chiesto a mia madre di prenotare la parrucchiera e ieri ha accompagnato la sua sposa a farei i capelli. Loro due soli, con l'ape. 
Come cinquant'anni fa. Come trent'anni fa. Ieri.
Questa mattina, i miei genitori si sono presentati a casa degli Zii per aiutarli a prepararsi e per accompagnarli alla Loro festa. 
La Mamma ha vestito la Zia e su richiesta dello Zio, le ha messo il profumo. 
Come cinquant'anni fa. Come trent'anni fa. Oggi. 
Lo Zio, elegantissimo, in giacca e cravatta, con l'abito quello buono ed un gilet di lana. Ed il suo simil Borsalino.
L'affresco di una realtà passata, forse, stupenda di sicuro.
La tavolata era lunga; dai due ai novant'anni. Ed io non riuscivo a distogliere lo sguardo dal lato sinistro, dagli Zii nel giorno della Loro festa e dai fratelli dello Zio, tutti somiglianti tra loro, in quel pugno di anni che li separano l'uno dall'altro. Mi arrivava poco dei discorsi che facevano e quelle poche parole, in patois, non mi erano sufficienti per comprendere di cosa parlassero. 
Ma li vedevo ridere. Ridere di gusto. Riportando a galla, mi piace pensare, qualche ricordo di chissà quanti anni fa, quando erano giovani, in forza e con la stessa voglia di ridere alla vita.
Finito il pranzo, la Zia ha chiesto allo Zio di riportarla a casa (solo Lei sa a quale casa facesse riferimento) perché non ne poteva più di stare fuori e così ci siamo alzati, noi con loro e nella confusione dei saluti, degli abbracci, lo Zio si è trovato al bancone con i suoi fratelli. 
A bere un ultimo digestivo, come cinquant'anni fa. Come trent'anni fa. Ed io con loro, invitato proprio da Lui...prima di ricevere l'ennesimo girone dalla Zia.
E niente, questo è stato il mio 25 aprile. Tra ricordi e non ricordi, tra sguardi commossi e malinconici, tra spensieratezza di ottantenni divertiti e la mia speranza che qualcosa di tutto ciò passi alla mie figlie, che con i loro Lego sul tavolo hanno vissuto, tra una manciata di generazioni, la festa degli Zii.
C'è ancora speranza, nelle piccole cose, se restiamo umani.
Ci dobbiamo credere.
Ci voglio credere. 



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