Tanti auguri di buon compleanno (a me).

Un ampolloso senso di nausea mi rende ocra e scorbutico; gli antidolorifici assunti con grappa alla liquirizia possiedono effettivamente controindicazioni di cui tenere conto: pastiglioni e sciroppo denso e messaggero di verità ultime nascoste. Affido la mia ascesa, il mio risveglio a Shakyamuni, inginoccchiato occhi vitrei e fissi nel vuoto escogito tentativi di passione, il fine ultimo la felicità. Il perdono. Perdonare se stessi rappresenta una mistica scalata dalla quale pochi fanno ritorno in salute e mentalmente rilassati. Lo scorrere del tempo è la metafora di una clessidra che simboleggia le sabbie mobili nelle quali costruisco castelli dalle fondamenta traballanti, impetuoso tentativo di una presuntuosa dimora dove riposare stanche membra. Tento di erudire il mio stato assimilando quattro nobili verità, la prima delle quali mi sussurra che l'esistenza è sofferenza. Il mio mal di schiena mi impedisce di dormire, pur sicuro che il Risvegliato non alludesse a questo, credo fiero in punture che alleviano le pene. Il rockabilly che risuona nelle mie orecchie mi rimanda a decenni or sono, in impeti di sudore e gommina, pelle nera e canotta bianca, quando spogli caratteri un lunedì mattina non potevano gettare nell'angoscia un povero idiota. I frammenti dello specchio rotto si infilano nelle ferite fresche, le schegge metteranno in circolo frizzanti stilettate che ricorderanno guai e fatalità, ma non raccatto i cocci di ciò che resta. Me ne sbatto. Fottuto cocciuto infierisco con un cicco di liquore trasparente che scalda come il fuoco dell'inferno. Cazzo Elvis. Ancora tu, bestia inferocita. Sarcasmo, rabbia e pianto. Tutti per uno e uno per tutti. Fottiti.  

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