Atto di dolore.

Perdonami padre perché ho peccato in pensieri parole e opere. Ed ora mi chiudo a riccio nella mia infinita disperazione, sfogando su me stesso le pene in un’implosione molecolare nauseante. L’autismo di cui sono affetto è un connotato con cui mio malgrado ho imparato a coesistere, salvo poi odiarlo a morte ed odiarmi per ciò che sono diventato. La successione delle difficoltà che hanno goduto delle mie fatiche ha creato un cuneo in grado di sfondarmi il petto al solo avvicinamento dell’essere umano. Odio l’incapacità dialettica e gestuale che correda una sfera emozionale che, ovattata, esiste e combatte una sfida impari con un sistema nervoso totalitaristico. Perdonami padre perché ho gettato nel cesso sguardi e sussurri, comprensione e infinito amore. Perdonami padre perché sono un reietto ritardato. Il confronto con le mie paure è schiacciante e la tenzone persa in partenza. Terrorizzato subisco incubi notturni alternati ad una solitaria angoscia che stringe fra le sue dita la bocca del mio stomaco incapace di urlare e chiedere aiuto. La saccoccia in cuoio non contiene più polvere magica, non si può più volare, ma strisciare è desolante, resta solo odore di rimpianto e qualche goccia di un rimorso che tende a non attenuarsi. Essere inferiore chiedi perdono al padre per ciò che non hai inteso, per ciò che hai sottovalutato, ritrovandoti con un pugno di mosche con le quali ingozzarti. Soffocatici e strilla. Il tormento danza un tango sul mio petto. Perdonami padre. A me neanche piace il ballo. La realtà spesso sfugge alla fantasia, dimostrando che la relatività dei limiti esiste ed è un problema concreto; laddove la fantasia non si lascia catturare, rifiuta di essere rigettata nel recinto triste e sporco, la realtà già ramazza per terra polvere e merda. Una focacceria sulla mia strada: è chiusa. Una voragine di freddezza, distacco ed una corazza forse mai più penetrabile sono tutto ciò che rimangono. L’ultimo ricordo di un sogno. Un mostro a testa china chiede perdono al padre, perché ha peccato. Atterrito dall’ingratitudine della fine, raccolgo da terra qualche manciata di ricordi per non sporcarli irreparabilmente. Li racchiudo nella saccoccia in cuoio, chissà che avanzi di polvere magica non regalino loro la lucentezza che meritano, proteggendoli dalle lancette del tempo e dalle ferite infette che colano un liquido tiepido, color porpora. Colore della penitenza. Perdonami padre perché ho peccato. 


2 commenti:

Annachiara ha detto...

Minchia ma la tua psiche in 'sto perioodo c'ha parecchie difficoltà, se quello che scrivi rispecchia anche solo vagamente quello che provi (ché tanto lo so che spesso è così, a meno che tu non sia un genio, ma insomma questa è proprietà di pochi...)

Baol ha detto...

Forse il Padre ti perdonerà...ma credo che dovresti essere tu a perdonarti...

Un abbraccio amico mio

 

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