My kingdom for a kiss upon her shoulder

Conobbi Jeff Buckley in un indeterminato rientro da scuola, molti anni fa. Seconda o forse terza liceo. Ricordo ancora bene quel momento: eravamo in piazza, zaino sulle spalle, probabilmente un 4 di latino da portarmi dietro.
Poi, all'improvviso, uno di quegli amici che reputi un fratello mancato se ne uscì con un “oh, Fred, ho scoperto la voce più bella, soave e lucente di sempre”. Sul momento, ammetto, non ci diedi un gran peso, la pensavo un po’ una sparata, ma naturalmente ritenevo valesse la pena ascoltare. 
Quelli erano anni in cui divoravo musica. Ricordo che andavo in biblioteca, prendevo tre, quattro cd - solitamente un buon mix tra album conosciuti e scoperte da fare - e mi piazzavo le cuffie in testa. Ascoltavo e riascoltavo, ammiravo le copertine, studiavo i testi e li facevo miei, a modo mio insomma.
Non mi fu difficile perdere la testa per il buon Jeff.
Nel corso degli anni, rimasi letteralmente folgorato da brani come Lover, You should’ve come over, o  The way Young lovers do. O Grace. Purtroppo se ne andò maledettamente presto. Chissà quanta altra poesia avrebbe potuto regalare.
Qualche tempo dopo, quel mio stesso fratello mi regalò Live at Sin-é. Una cosa celestiale, a mio modo di vedere. Una cosa che ti prende al midollo e che ti vibra il sistema nervoso. 
Che riascolterei ancora ed ancora. Ed ancora.
Una cosa che devo ammettere, poi, è che io sono sempre stato un feticista delle cover. Nelle mie innumerevoli ricerche di musica a me non nota, quando mi imbattevo in versioni nuove, riarrangiate, riviste, rivisitate, per me è sempre stato un godimento tutto particolare, una cosa viscerale.
E quella Legacy Edition è una pietra preziosa.
Così quando sentii The Band o Nina Simone, mi sciolsi. 
Quando sentii Dylan, fu un’altra folgorazione. L’ascolto casuale dapprima mi offrì If You see her, say hello e la ascoltai quasi trattenendo il fiato, per non perdere una nota, un solo respiro. Una sua ripresa di fiato.
Say for me that i’m all right
Though things get kind of slow
She might think that i’ve forgotten her
Don’t tell her it isn’t so
Jeff Buckley che recitava Bob Dylan.
Poi però fu la volta di Just like a woman e successe una cosa che di rado mi succede, tutto sommato: mi commossi.
E da allora ogni volta è il medesimo effetto.
Questa sera, ho rimesso su quell’album, riproduzione casuale, come di consueto e ad un certo punto ho sentito nuovamente quei suoi...Oh No No No iniziali.
Seguiti da...Nobody feels any pain.
Che in questo momento suona grottesco. Ingiusto e riverbera nel silenzio isolato delle nostre strade, abbandonate per metterci al riparo dalla tragica sceneggiatura, scritta senza un qualche motivo comprensibile. 
Sono giornate alienanti, che scorrono tra paradossi e aspri squilibri tra chi lotta e chi resiste o cerca di resistere, tra chi subisce senza essere in grado di darsi una spiegazione e chi urla di rabbia alla luna, vinto da impotenza, senso di indifesa debolezza.
I pensieri volano ad un metro e mezzo da terra, in un incedere lentissimo, che mi sembra di vederli, di  toccarli, senza riuscire a spostarli, pur tentando con forza. Mi sembrano banchi di nebbia.
Vivo giornate che pur nella straordinarietà della situazione, si stanno appiattendo in una crescente normalità, che a pensarci bene, probabilmente, è la migliore notizia possibile. Nel mio minuto nucleo, intendo.
La sera però, con il calar della luce, a far capolino spesso sono angoscia, preoccupazione, tenerezza ed un senso di incompiuto presagio, di sconosciuto avvenire. Penso a persone care, penso ad amici, penso ai mille volti incontrati in questi anni e respiro lungo, augurandomi che stiano bene, che non soccombano. Che facciano lunghi respiri rasserenanti e che la loro mente sia sempre percorsa da lucidità e da bene. Da piani per un futuro felice, alla luce del sole che inizia a scaldare queste giornate primaverili e da innumerevoli albe da assaporare.
Quanto a me, mi stropiccio la faccia, un altro sorso dal bicchiere vicino. Penso mi girerò una sigaretta questa sera e rimetterò ancora una volta indietro questo meraviglioso inno ad una donna da lasciare andare, così come questa brutto sogno ad occhi aperti che disturba le nostre vite.
I was hungry and it was your world
Ah, You fake just like a woman, yes, You do
You make love just like a woman, yes, You do
Then You ache just like a woman
But You break just like a little girl.

1 commenti:

SunOfYork ha detto...

bello ritrovarti, grazie per il post e per il commento.
angela

 

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