Day 3 - La mia casa


Quando corro o vado in bici, i momenti in cui la sofferenza mi indurrebbe a mollare, a rallentare, a mettere giù il piede ci sono sempre ed allora io più è ruvida la fatica e più mi metto a cantare; in cuor mio il più delle volte o bisbigliando altre. Mi serve a distrarre le gambe da quel dolore e ad esortare la mente: “lo vedi che c’è ancora fiato!”.

Oggi in testa ha fatto capolino “La mia casa” di Daniele Silvestri e mi ha accompagnato in più occasioni: sia quando il treno della Heroebike lottava contro il tempo e tritava chilometri in una crono verso l’Appennino, sia quando la strada ha iniziato a salire davvero. Prima scaldandoci le gambe, poi frustandole con un ultimo chilometro dalle pendenze aspre: mostro finale per raggiungere un incantevole borgo ristrutturato, in questa località chiamata Valmozzola, che sembra aver rallentato l’incedere del tempo ed essersi sospeso a quando le cose scorrevano più lentamente. Più genuinamente forse.

Ho trovato i testi di questa canzone (che lascio qui in fondo al post, per i viandanti che passeranno) quanto mai adatti a questo nostro pellegrinaggio lungo la Via Francigena, dove – nonostante tutto – incrociamo sguardi e sentiamo voci che cambiano l’accento, come cambia l’orizzonte che puntiamo ed a mio modo mi riempio i polmoni di aria fresca e nuova perché il viaggiare ti apre la mente e ti obbliga a spingerti fuori dai tuoi schemi e se sei fortunato ti accorgi che tutta questa diversità di cui si colora il mondo è un arricchimento infinito e gratuito. Ed allora davvero la tua casa può essere qualunque posto in cui ti potrai sedere a prendere fiato.

Il resto parla di piattume alle spalle, di cambi in avanti e di “rallenta!” dietro. Parla con una musicale cadenza emiliana e offre gnocco fritto e torta di mandorle. Parla di maldestri tentativi di indirizzare il nostro incedere, di litri di coca-cola (ancora) e di tagliatelle fatte in casa. Cacciatori e cinghiali, il racket delle lavanderie a gettoni e del più classico dei “lì dietro siamo arrivati”.

Parla di Borgo Gerbina e di un’accoglienza calda e premurosa.

E soprattutto di una bottiglia di vino rosso che ci attende.

Perché ho amato mille volte

E mille volte ho cominciato

E ho lasciato mille pezzi del mio cuore

Sul sagrato delle chiese

Nel cortile abbandonato

Di un compound sud-sudanese

Sul tettuoso muro a secco gallurese

Su di un ponte chilometrico di Istanbul magnifica e geniale

Che riesce a trasformare il mare in fiume e viceversa

Il fiume in mare.

Ah, la canzone termina le sue note tra le vie di Roma…




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